Il testo propone un confronto tra l'antropologia di Jacques Maritain e quella di Martin Heidegger, entrambe conseguenza della loro ontologia: il primo all'origine del tutto pone l'Ipsum esse per se subisistens della metafisica tomista, il secondo il Sein, un principio primo costituito dal Nicht (Nulla); esse perfettamente intelligibile per l'uno (realismo critico), physis che appare nella non-latenza per l'altro (fenomenologia ontologico- fattuale). Così, là dove Maritain definisce la creatura umana come una sostanza individua di natura razionale, Heidegger concepisce l'uomo come luogotenente del Nulla e pastore dell'Essere. Mentre il filosofo francese elabora un umanesimo teocentrico fondato sulla nozione di persona (personalismo tomista), il pensatore tedesco formula una dottrina antropocentrica basata sul concetto di esistenza (analitica esistenziale). Ma l'abbandono dei concetti metafisici di sussistenza e di suppositum porta alla nozione heideggeriana di uomo auto-fondato, ignaro del significato ultimo dell'esistenza e in preda all'angoscia. Da qui appare evidente l'opportunità di riproporre l'Umanesimo integrale di Maritain, il quale, giustificando ontologicamente il valore di ogni persona, è in grado di fornire risposte a quesiti di natura etica e sociale, in un mondo sempre più in balia dell'assurdo.
La proverbiale difficoltà del linguaggio di Heidegger e la vertiginosa altezza delle questioni da lui affrontate rendono particolarmente ardua la comprensione del suo pensiero, tanto più che esso si inerpica per sentieri non praticati dal senso comune. L'unico vero modo per superare questo ostacolo è quello di affrontare la lettura diretta delle sue opere, seguendolo passo per passo nel suo cammino di pensiero. Mai come per Heidegger appare indispensabile una guida adeguata che aiuti a penetrare nei recessi talvolta oscuri del suo meditare.
Il primo incontro di Paolo con i filosofi risale al tempo in cui l'apostolo si trova ad Atene. Incuriositi dai suoi strani discorsi, alcuni epicurei e stoici lo invitano a parlare davanti all'Areòpago, ma quando lo sentono argomentare sulla risurrezione dei morti lo deridono e lasciano la platea. Due millenni più tardi, l'attualità delle lettere paoline riecheggia nella riflessione filosofica che si confronta con la nascita del cristianesimo. Questo volume - che colma un vuoto nella saggistica sul tema - prende in esame le riflessioni di Heidegger, Badiou, Zizek, Taubes, Agamben, Foucault, Vattimo e Derrida.
Questo testo fondamentale per la comprensione della filosofia di Gadamer è incentrato sull’interpretazione di Heidegger. Attraverso una serie di saggi (il primo dei quali del 1960) Gadamer procede lungo i sentieri di Heidegger e si pone nella condizione di dialogare con il suo pensiero filosofico restituendo al maestro un profilo quasi vivente e a tutto tondo. Nel costante e paziente dialogo con Heidegger, Gadamer valorizza una precisa ipotesi secondo la quale «il comprendere […] ha intorno a sé uno spazio libero che esso riempie rispondendo costantemente alla parola che lo interpella, senza tuttavia esaurirlo».
Sommario
Nota introduttiva (R. Cristin). Prefazione all’edizione italiana. Prefazione. Avvertenza. 1. Esistenzialismo e filosofia dell’esistenza. 2. I 75 anni di Martin Heidegger. 3. La teologia di Marburgo. 4. «Che cos’è metafisica?». 5. Kant e la svolta ermeneutica. 6. Il pensatore Martin Heidegger. 7. Il linguaggio della metafisica. 8. Platone. 9. La verità dell’opera d’arte. 10. Gli 85 anni di Martin Heidegger. 11. Il sentiero verso la svolta. 12. I Greci. 13. La storia della filosofia. 14. La dimensione religiosa. 15. Essere, Spirito, Dio.
Note sull'autore
Hans-Georg Gadamer (1900-2002), filosofo tedesco, è stato allievo di Paul Natorp prima e di Martin Heidegger poi, e professore di Filosofia a Lipsia, Francoforte e Heidelberg. È tra i maggiori esponenti dell’ermeneutica filosofica. Nel catalogo Marietti 1820 sono disponibili i volumi: L’attualità del bello, Interpretazioni di poeti 1, Studi platonici (in due volumi), La dialettica di Hegel.
In Francia, all'inizio degli anni '60 del secolo scorso, le opere di Heidegger erano ancora poco conosciute. Nel 1964, Jacques Derrida inaugura il suo insegnamento all'École normale supérieure con il corso, rimasto fino ad oggi inedito, interamente dedicato al pensatore tedesco: nove intensissime lezioni in cui il corpo a corpo con Heidegger si sviluppa soprattutto a partire dalle ampie parti di "Essere e tempo" che all'epoca non erano state ancora tradotte in francese. La lettura serrata e paziente compiuta da Derrida disvela, lezione dopo lezione, il progetto filosofico heideggeriano: non la fondazione di una nuova ontologia ma la sua «distruzione» (termine che, nel nuovo conio «decostruzione» che appare in questo corso per la prima volta, ha prodotto non pochi fraintendimenti dell'opera derridiana) in nome della critica radicale al concetto stesso di «fondazione». I lettori e gli studiosi di Derrida sanno che il confronto con l'opera di Heidegger attraversa come un filo rosso l'intera opera del filosofo algerino, ma in questo corso, per i vecchi come per i nuovi lettori, viene presentata per la prima volta la radice di tale confronto, anticipatrice di molte opere successive. La «questione dell'Essere» e la «Storia» vengono discusse nel corso di lezioni che affrontano spesso anche la traduzione del complesso lessico di Heidegger, e in questo caso cominciano ad affacciarsi termini come «scrittura», «testo», «innesto» che, al di là di Heidegger, svolgeranno un ruolo di fondamentale importanza nel cammino di pensiero di Derrida. Questo corso dedicato ad Heidegger rappresenta dunque, nello stesso tempo, uno spaccato della sua ricezione in Francia e la matrice di alcuni temi e motivi operativamente centrali nell'opera di Derrida: un confronto tra due cammini di pensiero radicalmente diversi ma ugualmente fondamentali per la filosofia del nostro tempo, in cui «la questione dell'Essere e la Storia» vengono attraversate da domande coraggiosamente nuove e oltremodo necessarie.
«L'uomo, nella sua essenza secondo la storia dell'essere, è quell'ente il cui essere, in quanto e-sistenza, consiste nell'abitare nella vicinanza dell'essere. L'uomo è il vicino dell'essere.»
Heidegger ha sempre concepito il suo pensiero come un vero e proprio destino, presentando i problemi filosofici come strutture fondamentali dell'esistenza umana e insieme interpretando le soluzioni date a quei problemi nel corso della tradizione occidentale come eventi epocali nella storia dell'essere. Questo libro, pensato come una nuova e completa introduzione all'opera heideggeriana - dalla sua genesi alla fine degli anni Dieci sino agli ultimi esiti agli inizi dei Settanta -, mostra che in realtà tale "destino" è dipeso da scelte precise compiute dal filosofo e invita ad attraversare ancora una volta una riflessione senza la quale non si potrebbe capire a fondo la sfida del nostro tempo.
Come si è differenziata la riflessione di Heidegger sul male morale rispetto alla tradizione moderna? Sul filo di questa indagine filosofica, sinora poco esplorata e qui corredata di una scelta antologica, il volume mostra l'originalità con cui Heidegger - nei suoi scritti giovanili, in Essere e tempo, fino ai Quaderni neri - elabora il problema del male nella sua dimensione ontologica, superando la classica distinzione fra male metafisico, fisico, morale. Un'analisi fenomenologica che porta a riconsiderare, e mettere in discussione, anche la grande questione di una giustificazione heideggeriana dell'antisemitismo, dai diversi punti di vista: storico, filosofico, metafisico. Confondere i piani, come giornalisticamente è accaduto, e ricondurre il tutto a un "a priori" razionalistico con cui spiegare insieme il pensiero e la vita del filosofo, non aiuta a comprendere il rapporto, osservato in queste pagine, fra teoria ed esperienza umana, capace di illuminare le sue scelte biografiche e politiche.
La metafisica, inaugurata da Platone, secondo Martin Heidegger ha messo in circolazione un'unica forma di pensiero: il pensiero calcolante, che ha trovato nell'economia e nella tecnica l'espressione più alta e organizzata. "Tutto funziona", scrive Heidegger, e "questo è appunto l'inquietante". La tecnica è infatti la realizzazione compiuta dell'intenzione segreta della metafisica, la più idonea a garantire non solo la disponibilità di tutte le cose, ma anche la loro riproducibilità. Eppure, la razionalità imposta dalla tecnica, che esige di raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi, finisce per mettere fuori gioco la condizione umana. Ciò che fuoriesce da questa razionalità, per la tecnica è solo un elemento di disturbo e dunque deve essere eliminato. Accade però che l'uomo non sia solo razionalità, ma anche irrazionalità. Infatti irrazionale è la fantasia, l'immaginazione, l'ideazione, il desiderio, il sogno. E se questi aspetti vengono ridotti o soppressi, abbiamo ancora a che fare con l'uomo? Umberto Galimberti ci conduce nella riscoperta del pensiero di Heidegger e fa un fondamentale passo in avanti. Al tempo di Heidegger la tecnica poteva ancora essere considerata uno strumento nelle mani dell'uomo. Oggi non lo è più: è diventata l'ambiente in cui l'uomo vive, e l'uomo stesso è diventato un funzionario della tecnica. "Questo libro", scrive Galimberti, "è una guida alla lettura di Heidegger e, come ogni guida, conduce da un 'primo inizio' a un 'altro inizio', come lo chiama Heidegger, per giungere al quale occorre attraversare l'intero pensiero occidentale, che è stato governato dalla metafisica inaugurata da Platone".
La tesi di un antisemitismo filosofico in Heidegger, tornata in voga con la pubblicazione dei Quaderni neri a cura di Peter Trawny, appare per nulla innovativa se si tiene conto delle precedenti campagne diffamatorie condotte da Victor Farias e Emmanuel Faye e si entra nel merito dei testi heideggeriani. In questa analisi ci guida Francois Fédier - con saggi scelti, frutto di un ventennio di studi su Heidegger e la questione ebraica, e un'intervista inedita di Stefano Esengrini - mostrando la marginalità del pensiero politico heideggeriano, nelle sue cadute e rettifiche, rispetto alla grandezza speculativa del filosofo. Heidegger va compreso alla luce dell'analitica del Dasein: l'esserci che è condiviso da tutti gli uomini ed è agli antipodi di una ideologia della razza, essendo l'apertura originaria che ci precede ma in nessun modo predestina. Un'apertura che si svela in maniera peculiare nell'opera d'arte.
Perché Martin Heidegger ascrive agli ebrei l'oblio dell'Essere? Qual è allora il rapporto tra l'Essere e l'Ebreo? In che senso viene imputata agli ebrei la colpa più grave, da cui dipende il destino dell'Occidente? E perché questa accusa viene mossa negli anni trenta, dopo le leggi di Norimberga (1935), mentre inizia la guerra planetaria che dovrebbe condurre la Germania nazionalsocialista al dominio del mondo? "I Quaderni neri" di Heidegger oltre a dischiudere un'inedita prospettiva sul pensiero del filosofo, hanno suscitato un nuovo, intenso dibattito. L'antisemitismo metafisico solleva inquietanti interrogativi e rinvia alla responsabilità della filosofia nello sterminio. A un anno dalla prima edizione di questo libro, già più volte ristampato, Donatella Di Cesare prende in considerazione gli ultimi "Quaderni neri", che giungono fino al 1948, interpretando i passi e gli aforismi sulla Shoah e sull'immediato dopoguerra.